mercoledì 1 luglio 2009

VIVERE L'ATTIMO PRESENTE


Si può osservare che uno dei risultati del vivere l'attimo presente, se fedele ed abbastanza intenso, é quello di prendere ottime abitudini che prima non avevamo.
Ecco alcuni esempi. E' molto frequente offrire a Gesù le azioni che compiamo con un "per te", che trasforma la nostra giornata in un'ininterrotta preghiera; perché vivendo l'attimo presente noi abbiamo una grazia attuale che ci ricorda di dire davanti ad ogni azione: "per te".
Un'altra cosa: di fronte alle tentazioni - vivendo così - ci si sente atti a difenderci con più rapidità di prima.
Di fronte agli attaccamenti a cose o persone o a noi stessi, é pronta la nostra tipica dichiarazione d'amore: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene".
Si dà poi il giusto posto alle azioni che dobbiamo compiere, senza anticiparle perché piacevoli, e senza posticiparle perché gravose; perché succede spesso così.
Ancora: sgorgano spontanee dal cuore parole d'incoraggiamento, di stima, di lode, verso i fratelli con cui viviamo o, in qualsiasi modo, incontriamo, attraverso il telefono, ad esempio, scrivendo loro, e così via. E sempre più spesso si vede in loro Gesù, sicché, crescendo la nostra carità, facendosi via via più raffinata, anche la nostra unione con Dio s'approfondisce.
Un'altra cosa: non si dimentica di salutare e adorare Gesù, vivo nel tabernacolo, ogniqualvolta gli passiamo accanto o ce lo ricorda una croce o un'immagine. Allo stesso modo si fanno atti di venerazione a Maria.
Un'altra cosa che si può osservare: si rimane di più alla presenza di Dio durante le nostre pratiche di pietà e si allontanano con più facilità le distrazioni.
Ancora: ci si accorge che si riesce a mantenere con maggiore facilità, durante tutto il giorno, l'amore reciproco che, per noi cristiani, é importantissimo. Dice, infatti, la Scrittura che la sua attuazione - quella del comandamento nuovo - ci fa perfetti: "Se ci amiamo gli uni gli altri - dice Giovanni - Dio rimane in noi e l'amore di lui in noi è perfetto" (I Gv 4,12).
Prima - dobbiamo convenire -, pur con tanta buona volontà, la carità reciproca aveva delle oscillazioni, certamente con continue riprese, ma con interruzioni.
Un'altra: divenuti più perfetti nelle piccole cose, sappiamo compiere meglio anche le grandi, e l'anima tutto il giorno é invasa tutto il giorno di serenità, di pace e di gioia.
Queste, alcune abitudini acquistate che alimentano diverse virtù nella nostra anima. Ed é proprio una bella raccolta di virtù che fa del viaggio della vita un "santo viaggio", un viaggio verso la santità.
Alla chiesa, per promuovere un cristiano a modello degli altri, per dichiararlo beato e santo, non interessano tanto certi fenomeni pur mistici come le visioni, le locuzioni, i rapimenti, le bilocazioni...ma interessano le virtù.
Ora, se tutto questo, e più, possiamo constatare in noi vivendo con costanza l'attimo presente, dobbiamo concludere che siamo sulla buona strada. Ringraziamo perciò il Padre, che guida, con la storia grande del mondo, la nostra piccola storia.


Chiara Lubich


martedì 30 giugno 2009

CHI HA PAURA DEL SILENZIO?


E' difficile trovare il silenzio nelle nostre città: ovunque ti giri ci sono parole, suoni, per non dirle urla e rumori...
E nelle case non siamo messi meglio, visto che non manca quasi mai la TV di sottofondo, o il telefono che squilla, o le chat via computer...
E se proprio riusciamo a ritagliarci un tempo per noi in camera, o in un luogo tranquillo, ci fa compagnia la musica, a volte sparata a 1000, per condividerla generosamente con chi ci sta intorno...
Una domanda sorge spontanea: perché il silenzio é diventata merce rara dalle nostre parti? Non sarà che ne ho paura?...se spengo tutto, poi che faccio, che dico?
Ah, qui sta il bello...E se il silenzio avesse lui qualcosa da dire a me?!
Chi vuole lanciare la sfida a se stesso, certamente non rimarrà deluso.
Intanto...parola al "Silenzio", attraverso questa simpatica presentazione di Pino Pellegrino.


"Per favore. lasciatemi, una volta tanto, prendere la parola. Lo so che é paradossale che il silenzio parli.
E' contrario al mio carattere schivo e riservato. Però sento il dovere di parlare: non mi conoscete abbastanza!
Ecco, quindi , qualcosa di me.
Intanto le mie origini sono assolutamente nobili. Prima che il mondo fosse, tutto era silenzio.
Non un silenzio vuoto, no, ma traboccante. Così traboccante che una parola sola detta dentro di me ha fatto tutto!
Poi, però, ho dovuto fare i conti con una lama invisibile che mi taglia dentro: il rumore! Ebbene lasciate che ve lo dica subito: non immaginate cosa perdete ferendomi!
Il baccano non vi da mai una mano! Io, invece, sì.
Io sono un'officina nella quale si fabbricano le idee più profonde, dove si costruiscono le parole che fanno succedere qualcosa.
Io sono come l'uovo del cardellino: la custodia del cantare e del volare.
simpatico, no?
Io segno i momenti più belli della vita: quello dei nove mesi, quello delle coccole, quello dello sguardo degli innamorati...
Segno anche i momenti più seri: i momenti del dolore, della sofferenza, della morte.
no, non mi sto elogiando, ma sto dicendo la pura verità.
Io mi inerpico sulle vette ove nidificano le aquile. io scendo negli abissi degli oceani.
io vado a contare le stelle...
io vi regalo momenti di pace, di stupore, di meraviglia. io sono il sentiero che conduce al paese dell'anima.
Sono il trampolino di lancio della preghiera. Sono, addirittura, il recinto di Dio!
Ecco qualcosa di me.
Scusatemi se ho interrotto i vostri rumori e le vostre chiacchiere.
prima di lasciarci, però, permettete che riassuma tutto in sole quattro parole:
Custoditemi e sarete custoditi! Proteggetemi e sarete protetti!"


LA FAMIGLIA E DIO


I sociologi oggi parlano di morte della famiglia. Se la famiglia é fallita nel mondo, é perché é venuto meno l'amore. La famiglia, é un ingranaggio, uno scrigno, un mistero d'amore. E' Dio che l'ha architettata come capolavoro dell'amore, segno, simbolo, tipo di ogni suo altro disegno.
Quando nel cuore dei componenti una famiglia questo amore é acceso, é vivo, non nascono problemi insolubili, non si piangono fallimenti irrimediabili. La famiglia torna ad essere bella e unita e sana come Dio l'ha pensata.
Noi vogliamo portare le famiglie, tutte le famiglie che incontriamo, a rivitalizzare l'amore che é insito in ogni famiglia con quell'amore che é puro dono di Dio. E se così sarà, anche il travaglio che fa gemere la famiglia nel mondo porterà come frutto quel nuovo tipo di famiglia che i tempi esigono.
Famiglie così hanno un'attrattiva potentissima sul mondo, proprio la grande attrattiva del nostro tempo, anzi di tutti i tempi. Perché il mondo, da che cosa é attratto? Dalla felicità. E dove la cerca? Nell'amore.
Ho visto famiglie meravigliose. Lì sono in funzione piena il sacramento e la natura, che porta l'uomo verso la donna.
E' qualcosa di bellissimo, ma per mantenersi sempre a questa altezza, dove l'amore é soprannaturale e anche umano, dove la felicità é piena, occorre amare Dio sopra ogni cosa e l'altro con quell'amore che sa dare la vita.
Com'é una famiglia che ha messo Dio al primo posto?
Se la guardi con l'occhio umano é una famiglia come un'altra. Se la guardi con occhio soprannaturale, capisci che c'è sotto un mistero: il mistero dell'amor di Dio, perché c'é Cristo in mezzo a loro. E' una cellula con nel cuore la presenza di Dio.
Noi vediamo sorgere queste famiglie, quasi un popolo, che sembrano come le altre ma in realtà hanno un segreto d'amore perché sono a servizio dell'umanità, perché in esse le persone sono unite fra loro e distinte, in certo modo come la famiglia di Nazareth.
Maria, Gesù, Giuseppe avevano fra loro un'intimità così profonda, che quasi niente é trapelato all'esterno dei molti anni vissuti insieme. Nello stesso tempo nessuna famiglia é stata così aperta sull'umanità come loro.
Che il Signore porti avanti le vostre famiglie sulla via della perfezione, la quale, se può essere fatta di grandi dolori, nello stesso tempo é fatta di gioie così sublimi, che nessuno al mondo può comprenderle. proprio di questo abbiamo bisogno: di famiglie che testimoniano Dio in questo modo.


Chiara Lubich (Dove la vita si accende)


lunedì 29 giugno 2009

LETTERA AI GENITORI

Per chi ama i suoi figli.


La famiglia é una vocazione.

La prima vocazione di cui voglio parlarvi é la vostra, quella di essere marito e moglie, papà e mamma.
Perciò la mia prima parola é proprio per invitarvi a prendervi cura del vostro volervi bene come marito e moglie: tra le tante cose urgenti, tra le tante sollecitazioni che vi assediano, mi sembra che sia necessario custodire qualche tempo, difendere qualche spazio, programmare qualche momento che sia come un rito per celebrare l'amore che vi unisce.
L'inerzia della vita con le sue frenesie e le sue noie, il logorio della convivenza, il fatto che ciascuno sia prima o poi una delusione per l'altro quando emergono e si irrigidiscono difetti e cattiverie, tutto questo finisce per far dimenticare la benedizione del volersi bene, del vivere insieme, del mettere al mondo i figli e introdurli nella vita.
L'amore che vi ha persuasi al matrimonio non si riduce all'emozione di una stagione un po' euforica, non é solo un'attrazione che il tempo consuma. L'amore sponsale é la vostra vocazione: nel vostro volervi bene potete riconoscere la chiamata del Signore. Il matrimonio non é solo la decisione di un uomo e di una donna: é la grazia che attrae due persone mature, consapevoli, contente, a dare un volto definitivo alla propria libertà. Il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio.
Vorrei pertanto invitarvi a custodire la bellezza del vostro amore e a perseverare nella vostra vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove, le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili. Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l'umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità.
Non sempre gli impegni professionali, gli adempimenti di famiglia, le condizioni di salute, il contesto in cui vivete, aiutano a vedere con lucidità la bellezza e la grandezza della vostra vocazione. E' necessario reagire all'inerzia indotta dalla vita quotidiana e volere tenacemente anche momenti di libertà, di serenità, d preghiera.
Vi invito pertanto a pregare insieme: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per voi, i vostri figli, i vostri amici, la vostra comunità: qualche Ave Maria per tutte quelle attese e quelle pene che forse non si riescono neppure a dire tra di voi.
Vi invito ad aver cura di qualche data, a distinguerla con un segno, come a una visita a un santuario, una Messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce: la data del vostro matrimonio, quella del battesimo dei vostri figli, quella di qualche lutto familiare, tanto per fare qualche esempio.
Vi invito a trovare il tempo per parlare tra voi con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedervi scusa, rallegrarvi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta. E vi invito a stare per qualche tempo da soli, ciascuno per conto suo: un momento di distacco può aiutare a stare insieme meglio e più volentieri.
Vi invito ad avere fiducia nell'incidenza della vostra opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall'impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, che sono capaci di pretendere molto, ma risultano refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo.
La vostra vocazione a educare é benedetta da Dio: perciò trasformate le vostre apprensioni in preghiera,meditazione, confronto pacato. Educare é come seminare: il frutto non é garantito e non é immediato, ma se non si semina é certo che non ci sarà raccolto. Educare é una grazia che il Signore vi fa: accoglietela con gratitudine e senso di responsabilità. Talora richiederà pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma non perdetevi d'animo, non c'é niente di irrimediabile per chi si lascia condurre dallo Spirito di Dio.
E affidate spesso i vostri figli alla protezione di Maria, non tralasciate una decina del rosario per ciascuno di loro: abbiate fiducia e non perdete la stima di voi dei vostri figli. Educare è diventare collaboratori di Dio perché ciascuno realizzi il disegno di Dio.

L'educazione:collaborazione alla gioia dei figli.

La gioia che desiderate per voi e per i vostri figli é un misterioso dono di Dio: giunge a noi come la luce amica delle stelle, come una musica lieta, come il sorriso di un volto desiderato. La collaborazione che i genitori possono offrire alla gioia dei figli é l'educazione cristiana. L'educazione non é un meccanismo che condiziona, ma l'accompagnamento di un giovane alla libertà perché se vuole, giunga al suo compimento nell'amore.
Educare é quindi un sevizio umile, che può conoscere il fallimento; é però anche un'impresa formidabile di cui un uomo e una donna possono gioire con inesprimibile intensità.
L'educazione cristiana é il paziente e tenace lavoro che prepara il terreno al dono della gioia di Dio. Infatti la luce delle stelle non si vede se il bagliore sfacciato delle luminarie nasconde la notte,la musica lieta non avvolge di consolazione quando il frastuono del rumore é assordante e non si ha tempo per un volto amico nella eccitazione di una folla in delirio. Per disporre alla gioia é dunque necessaria una purificazione che non va senza fatiche.
Voglio alludere almeno ad alcune purificazioni che mi sembrano particolarmente necessarie oggi.
La purificazione degli affetti significa introdurre alla gioia che é sconosciuta a chi immagina il rapporto tra l'uomo e la donna come una via per ridurre l'altro a strumento per la propria gratificazione e rassicurazione: allora gli affetti degenerano a passione, possessività, sensualità.
Lo spirito di servizio e la disponibilità al sacrificio introducono alla gioia che si rallegra di vedere gli altri contenti, le iniziative funzionare bene, le comunità ordinate e vivaci. E' una gioia sconosciuta a chi impigrisce nell'inconcludenza.. Come mi stringe il cuore nel considerare lo sperpero di tempo, di risorse giovani e affascinanti, di intelligenza e denaro che vedo compiersi da parte di tante compagnie dei nostri ragazzi! Come é urgente reagire all'inerzia e alla malavoglia per edificare una vita lieta!
La purificazione dalla paura del futuro é urgente per introdurre alla gioia della definitività. Una vita si compie quando si definisce in una dedizione: la scelta definitiva deve essere desiderata come la via della pace, come l'ingresso nell'età adulte e nelle sue responsabilità. Siano benedetti quei genitori che con la fedeltà del loro volersi bene insegnano che la definitività é una grazia e non un pericolo da temere, né una limitazione della libertà da ritardare il più possibile. Pericolosa e fonte di inquietudine é invece la precarietà, la provvisorietà, lo smarrimento che lasciano un giovane parcheggiato nella vita, incerto sulla sua identità e spaventato del suo futuro.
Voi genitori sentite la responsabilità di provvedere alla felicità dei vostri figli: siete disposti a concedere molto, talora anche troppo, "purché lui sia contento".
Questo diventa motivo di ansia, di sensi di colpa, di esasperazione quando non riuscite a ottenere dai figli che assumano, condividano le vostre indicazioni, quando risultano impraticabili le proposte che sembrano tanto ovvie ai preti, agli insegnanti, agli esperti che scrivono sui giornali.
A me sembra che sia più saggio considerare che i genitori non sono colpevoli di tutti gli errori e l'infelicità dei figli, di tutto lo squallore di certe giovinezze sciupate nell'inconcludenza o nella trasgressione: E' eccessivo che un papà e una mamma si sentano colpevoli di tutto: é più prudente e rasserenante condividere la responsabilità dentro una comunità.
Quando avete portato il vostro bambino in Chiesa per chiedere il Battesimo avete dichiarato la vostra fede nel Padre che sta nei cieli e la vostra decisione che il figlio crescesse nella comunità cristiana.
Mi sembra che una conseguenza coerente della scelta di chiedere il battesimo per i propri figli sia un'opera educativa che si preoccupi di inserire in una comunità, di promuovere la partecipazione, di insinuare nei ragazzi e noi giovani un senso di appartenenza alla comunità cristiana in cui si educa alla fede, alla preghiera, alla domanda sul futuro. Una famiglia che si isola, che difende la propria tranquillità sottraendosi agli appuntamenti comunitari risulta alla fine più fragile e apre la porta a quel nomadismo dei giovani che vanno qua e là assaggiando molte esperienze, anche contraddittorie, senza nutrirsi di nessun cibo solido.
Ritenere irrinunciabile la partecipazione alla Messa domenicale introduce a una mentalità di fede che ritiene che senza il Signore non si può fare niente di buono.
Carlo Maria Card.Martini
.

venerdì 26 giugno 2009

PSICOLOGIA DEL DOLORE


NON TIRARSI INDIETRO


"Di fronte alle sofferenze del mondo


tu puoi tirarti indietro, sì,


questo é qualcosa che sei libero di fare e che si accorda con la tua natura;


ma precisamente questo tirarsi indietro


é l'unica sofferenza che forse potresti evitare". (Kafka)




Quando nasce una situazione spiacevole oppure una sensazione non bella, può essere dolore fisico, sofferenza mentale, incertezza generale sul futuro, e così via. Queste sono condizioni potenziali della sofferenza ma, di per sé, non sono la sofferenza stessa. Il modo in cui reagiamo ad esse determina quanto soffriamo.

Un bambino e un adulto si fanno entrambi male al dito del piede. Tutti e due provano dolore. L'adulto ha una visione del mondo in cui tale sensazione é riconosciuta e assimilata: é una stupidaggine, passerà. Dato che non c'é una resistenza reattiva incontrollata, l'adulto non ha bisogno di intraprendere una qualche azione per alleviare la sofferenza.

Per il bambino l'esperienza é molto diversa. Mancandogli un contesto che preveda alluci schiacciati, il bambino si identifica col dolore spiacevole e prova avversione per esso. Il bambino mette se stesso fortemente in conflitto con la realtà. Questa resistenza alla situazione spiacevole é l'origine della sofferenza. Le lacrime continuano dopo che il dolore é passato; come reazione, il bambino corre dai genitori per farsi consolare.

Un altro esempio: due donne sono in travaglio di parto. Entrambe gridano come risposta naturale al dolore. Per una di loro rappresenta l'annuncio del figlio tanto atteso e fa parte dell'incredibile mistero della vita. Il dolore la risparmia e la riempie non di sofferenza ma di estasi. Non si é mai sentita tanto viva, tanto profondamente in armonia con la propria natura. Rifiuta un analgesico premurosamente offerto dall'ostetrica. Per l'altra donna il dolore del parto é quello che ha temuto sin dall'inizio della gravidanza. Quando arriva, é incapace di tenerlo a bada; esso diventa una fonte di sofferenza, che non fa parte di un'esperienza di gioia globale. Accetta senza esitare l'analgesico.

Quasi tutti, condizionati dalla mentalità corrente, non facciamo che evitare il dolore e continuare a soffrire inutilmente, a soffrire in maniera sterile. Quando affrontiamo il dolore, possono emergere i sentimenti dolorosi che cercavamo di evitare, solo che adesso si tratta di soffrire in maniera fertile. A questo punto ci troviamo a dover fare una scelta: cogliere l'opportunità di riconoscere la propria sofferenza, attraversare i vissuti dolorosi, comprenderne il significato ed integrarli nella propria personalità, oppure ripiegare sull'unica tragica alternativa, quella dell'evitamento, che é già costata troppo.

Esiste una legge psicologica che dice che "se si ha paura di soffrire, si finisce col soffrire di paura". Infatti quando proviamo un dolore intenso, fisico o psicologico, questo domina la nostra attenzione. Diventa difficile trattenere il ricordo di quando la sofferenza non c'era e immaginare di poter sperimentare di nuovo sensazioni e vissuti positivi. E' come se il dolore cancellasse il passato e il futuro e la sua capacità di dominare la nostra attenzione non ci facesse accorgere che viene a ondate.

Anche i sentimenti dolorosi seguono lo stesso andamento. Possono essere talmente intensi che tutto quello che si desidera é di evitarli.

Nella nostra società, il dolore, come tutte le esperienze umane, è amplificato dai fantasmi psichici e culturali e dalla paura del futuro, del tipo: "Quanto sarà forte? Quanto durerà? Sopravvivrò?" Quanto più il dolore viene sperimentato e superato, quanto più la paura si attenua,tanto più, a livello profondo, ci si rinforza attraverso il superamento dell'esperienza. Solo il dolore senza speranza, senza futuro, annienta invece di rinforzare.

Solo accettando il dolore possiamo verificare che l'onda fa il suo corso, alternandosi ad intervalli meno intensi che permettono di recuperare energie, coraggio e di ricordare a se stessi che passerà. E' d'aiuto in questi momenti usare affermazioni positive come: "Passerà", "quello che sento non é quello che sono", piuttosto che concentrarsi su pensieri negativi come: "Durerà per sempre", o "non lo sopporto", o "mi ha distrutto". Dialogare con il proprio dolore permette di conoscerlo meglio e aiuta a lenirlo. Questo significa dar voce alle proprie sensazioni, al dolore, ai sintomi: "Se le tue lacrime potessero parlare che cosa direbbero?"

Ma in sintesi quello che conta é non tanto soffrire bensì saper soffrire, e saper soffrire significa appunto: lasciarsi andare al dolore così com'é, senza barriere, senza riserve, senza interpretazioni. Allora paradossalmente il dolore cambia, perché non c'é più il dolore della lotta, della resistenza, del tormento e della ribellione. Insomma la regola d'oro é accettare il dolore; e quando il dolore a volte é misterioso o sembra assurdo, come se non ci fosse nulla da capire, allora si tratta di accettare la nostra difficoltà di accettarlo. Ma ricordiamo che il dolore comunque rende onesti e svela senza pietà le pieghe più nascoste del nostro intimo.

Questa onestà é anche la base della simpatia e dell'affetto che si provano nei confronti di chi é sofferente: L'onestà rende il sofferente simpatico perché nel dolore l'uomo diventa autentico. E la parola d'ordine per raggiungere quest'onestà é "guardare" e non distogliere lo sguardo dal dolore, perché quando noi vediamo la sofferenza esattamente per quello che é, più facilmente risulta superabile.

La psicologia arriva a dire che dove c'é il dolore, lì c'é la salvezza; Basta trasformarlo in amore.




Pasquale Ionata


giovedì 25 giugno 2009

LA NOTTE DI DIO


Una favola nata in ospedale.




Un giorno all'inizio del mondo, l'uomo si presentò davanti a Dio per chiedergli di far sparire il dolore dalla faccia della terra. L'uomo aveva un figlio ammalato e non poteva sopportare di vederlo soffrire così.

"Il dolore é quanto di più ingiusto tu abbia mai creato sulla terra" disse con voce dura.

Dio spalancò gli occhi per la sorpresa e rispose pacatamente: "Figlio mio, io non posso proprio fare niente. Non l'ho creato io, il dolore. Nel mondo, così come era uscito dalle mie mani, esso non c'era. Ne sono ben sicuro perché, quando ho contemplato tutto quello che avevo creato, ho visto che tutto era buono. Stai attento a non attribuire a me quello che hai fatto tu. Sei tu che hai introdotto il disordine, e di conseguenza il dolore, nel mondo".

L'uomo chinò il capo confuso, farfugliò qualche parola dalla quale si capiva che, in fondo sì, ammetteva di avere qualche colpa, ciò nonostante rinnovò la sua richiesta, tra le lacrime: "Se non vuoi farlo per me, fallo almeno per mio figlio! Lui non ha colpa alcuna, non é giusto che soffra così".

Dio ebbe compassione del pianto dell'uomo e rispose: "Va, figlio mio, va in pace, ché qualcosa posso fare. Va a dormire tranquillo e torna da me domani".

Dio rimase solo e, nella notte, nella solitudine immensa del creato addormentato, giunse le mani come una coppa e vi raccolse tutto il dolore del mondo. Poi si portò quella coppa alle labbra e la bevve, fino alla feccia. Il dolore gli straziò le carni, gli penetrò fino in fondo nel cuore. Nel cuore di Dio si svolse una lotta tremenda, tra il dolore e l'amore. Dio si sentì venire meno e pianse. Il cuore divino divenne come una grande tinozza, colma di lacrime che lavarono il dolore, lo purificarono, gli tolsero ogni bruttura.

La mattina dopo, quando l'uomo tornò da Dio, si spaventò nel vederlo così pallido, così provato, ma non gli chiese nulla, preferiva non sapere quello che era successo.

Dio parlò al dolore, in presenza dell'uomo, e gli disse: "Va, figlio mio, torna sulla terra, non più segno di maledizione, ma di benedizione perché io ti concedo il potere di purificare il cuore dell'uomo cosicché, chi ti accoglierà nel mio nome, possa diventare una creatura nuova, primizia di una nuova creazione". Poi parlò all'uomo e gli disse: "D'ora in poi, non ti domandare più il perché del dolore, ma guardane i frutti".



(da Noi giocheremo in eterno, Ancora 2000)






mercoledì 24 giugno 2009

...sulla FELICITA'...


La felicità é vocazione di tutti, ogni uomo é chiamato ad essere felice, ma questa inclinazione naturale, posta nell'intimità dell'essere umano, poche volte viene realizzata; sembra che la felicità non sia di questo mondo, é come un impossibile necessario, ma sempre ricercato.
Eppure molte persone, hanno scelto la felicità anche in situazioni critiche come la perdita del posto di lavoro, l'incendio della casa, il furto dell'auto, e persino di fronte alla malattia e alla morte: propria e altrui, specie se di una persona cara; e scegliere la felicità in queste circostanze non vuol dire tuttavia che non provino tutti gli altri sentimenti umani, come l'umiliazione, la tristezza, la delusione, l'angoscia, la sofferenza...ma nell'intimo sanno che é il momento di ricorrere all'amore: soltanto l'amore autentico costruisce la felicità. E parlare dell'amore é parlare del dolore: fra l'uno e l'altro si stabilisce una certa reciprocità. Purtroppo oggigiorno accade che ci si concentri nella ricerca di surrogati dell'amore come, appunto il sesso, i soldi, il successo; e ci si comporta come i bambini in un negozio di giocattoli, convinti che la felicità dipenda dall'avere, soltanto per noi stessi, ogni cosa alla nostra portata: per esempio il successo o la fama per se stessa.
Ma cosa constatiamo? Constatiamo tutti i giorni come gli uomini famosi d'oggi, siano profondamente infelici, soprattutto quelli che si dedicano al cinema, al teatro, ecc. Colui che raggiunge il successo deve avere la maturità emozionale per saper smaltire adeguatamente l'esaltazione di cui é oggetto.
Inoltre il personaggio famoso é costantemente il bersaglio di molte persone, viene seguito troppo da vicino e quindi giudicato con maggior minuziosità. Una celebre attrice diceva di sé: "Che buffa la vita; ho impiegato tanti anni a farmi conoscere ed ora che sono nota cammino per strada con occhiali scuri, sperando che non mi riconoscano".
Per quanto riguarda il sesso che non porti alla felicità lo dimostra la considerazione che in una società come quella moderna in cui vige il culto del "sesso libero" assistiamo ad una vera e propria esplosione di malattie psicosessuali mai verificatesi nei tempi addietro.
E i soldi? Quando alla fine del secolo scorso Freud si fece il regalo del libro ILIAS dell'archeologo Schliemann, si interessò in modo particolare al racconto dell'infanzia dell'autore, contenuto nell'introduzione: e alle prime idee infantili di Schliemann sul desiderio di trovare Troia, che più tardi si sarebbe realizzato con la scoperta della civiltà cantata da Omero, così commentò: "Quando egli trovò il tesoro di Priamo fu felice, perché l'unica felicita possibile é la soddisfazione di un desiderio infantile". E aggiunse una definizione lapidaria: "La felicità é la soddisfazione postuma di un desiderio preistorico. Questa é la ragione per cui le ricchezze apportano così poca felicità: il denaro non é un desiderio dell'infanzia".
Ma a parte la definizione freudiana, una buona definizione della felicità dal punto di vista psicologico é la seguente: "Uno stato mentale in cui abbiamo pensieri piacevoli per buona parte del tempo". E la definizione psicologica che conosca é un'altra: "La felicità sta nel darla".
Ed é vero, ciascuno di noi, se prova a ricordare quali siano stati nella propria vita i momenti di felicità, si accorgerà che sono stati quelli in cui ci siamo dimenticati per gli altri. Abbiamo soltanto la felicità che abbiamo dato.
La moderna psicologia ha confermato che la salute mentale sta nell'autoblio, nel dimenticarsi. E l'altruismo conduce proprio a questo: perché non solo allontana la mente dall'autoesame e dall'introspezione di noi stessi, dei nostri limiti, dei nostri errori, dei nostri problemi (tutto ciò che costituisce i nostri pensieri sgradevoli), e ci trattiene dall'inorgoglirci per la nostra "bontà": ma ci dà la possibilità di esprimere noi stessi creativamente, di soddisfare noi stessi aiutando gli altri, realizzando con ciò la nostra vera vocazione.
Uno dei pensieri più gradevoli per ogni essere umano é quello di sentirsi necessari, importanti, e capaci abbastanza da poter aiutare gli altri e renderli felici. Eppure forte é l'illusione che soltanto ottenendo qualcosa dall'esterno si può essere felici: comunemente si pensa che ottenendo qualcosa si può essere appagati - appunto i soldi, il successo o il sesso, come abbiamo visto -; ma potrebbe trattarsi di una nuova auto, di un nuovo partner, di un viaggio, o di una delle infinite proposte del mondo edonistico e consumistico. Se però questo qualcosa non lo raggiungiamo, avremo la sensazione che la felicità sia uno stato irraggiungibile.
Invece la felicità é una decisione e una scelta interiore, e non deve avere niente in comune con gli eventi del mondo esterno. Senza dubbio la forma più elevata di gioia e di felicità sta nell'atto di donare il nostro amore e di aiutare l'altro lungo cammino della vita, ricordandosi sempre che "donare é ricevere". De Garaude diceva: "Dare é amare, ricevere é imparare ad amare".


Pasquale Ionata


martedì 23 giugno 2009

DIO SEMPRE CON NOI


"Il Signore é vicino a quanti lo invocano,
a quanti lo cercano con cuore sincero" (Sal 144,18)

E' universale l'abbraccio di Dio.
Avvolge l'universo ed é attento alla più piccola delle sue creature
Il Salmo da cui é tratto il versetto é tutto un inno a Lui, "grande nell'amore", piegato verso ogni essere vivente, attratto dalle sue necessità.
Ogni creatura é ritratta in un gesto d'invocazione: ha bisogno del cibo, e con esso del necessario per la sua esistenza, e Dio apre la sua mano con generosità. Lui ha cura di ognuno, sostiene chi é debole e rischia di cadere, riconduce sulla strada dritta chi s'é smarrito
Non é un Dio assente, indifferente alle sorti dell'umanità, come alle sorti di ciascuno di noi. Tante volte lo sperimentiamo
Ma é pur vero che in altri momenti ne proviamo tutta la lontananza e ci sentiamo soli, insicuri, smarriti di fronte a situazioni che sembrano sorpassarci.
Ecco allora la ribellione o sentimenti di antipatia se non di odio verso un nostro fratello o una nostra sorella. Ecco pesarci in animo situazioni che da anni si protraggono in famiglia, nella comunità di lavoro: piccole o grandi diffidenze, gelosie, invidie, tirannie. O ci vediamo soffocati da un mondo che può apparirci incallito da passioni, carrierismi e svilito di ideali, di giustizia e di speranza.
"Signore dove sei?"sembra gridare il nostro cuore. "Mi ama veramente? Ci ami veramente? Ma allora, perché tutto questo?"
Ed ecco la Parola che ravviva una certezza: non siamo mai soli nella nostra avventura umana.
E' un invito a ravvivare la fede: Dio c'é e mi ama. Posso e devo riaffermarlo in ogni azione, davanti ad ogni avvenimento: Dio mi ama. Incontro una persona? Devo credere che attraverso di lei Dio ha qualcosa da dirmi. Mi dedico a un lavoro? In quel momento continuo ad avere fede nel suo amore. Arriva un dolore: credo che Dio mi ama. Arriva una gioia? Dio mi ama.
Egli é qui con me, é sempre con me e condivide ogni mio pensiero, ogni gioia, ogni desiderio, porta assieme a me ogni preoccupazione, ogni prova della mia vita.
Come ravvivare questa certezza?
Lo dice lui stesso: invocandolo! Il Signore era già sulla barca di Pietro quando scoppiò la tempesta, ma i discepoli si sentivano soli e indifesi, perché lui dormiva. lo chiamarono: "Salvaci Signore, siamo perduti!" ed egli calmò il vento e le acque.
Gesù stesso sulla croce, non sentì più la presenza del Padre. lo invocò con la più straziante preghiera: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Credette così nel suo amore, si riabbandonò al Padre, ed egli lo risuscitò dalla morte.
Come ancore ravvivare la fede nella sua presenza?
Cercandolo in mezzo a noi. Lui ha promesso di essere lì dove due o più sono uniti nel suo nome. Sperimenteremo così i frutti della sua presenza: gioia, pace, luce, coraggio.
Lui rimarrà con ciascun di noi e continueremo a sentirlo vicino e operante nella nostra vita di ogni giorno.

Chiara Lubich

LA FEDE DONO DI DIO?


"Si dice che la fede é un dono di Dio e che l'uomo è libero di accoglierlo o meno.
Quando un uomo dice di non credere in Dio, é perché non ha ricevuto il dono della fede?
Oppure é perché, non ha accolto il dono della fede?
E la Chiesa cosa ne pensa?"


"Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato".
"Nessuno può venire a ma se non gli é concesso dal Padre mio".
Sono le parole con cui Gesù, nel quarto vangelo, ci presenta la fede come puro, del tutto gratuito, dono di Dio. Nessuno può credere in Gesù, nessuno può entrare in quella nuova visione della vita, che egli ci ha manifestato, senza quella luce soprannaturale e quella attrattiva interiore che Dio solo può dare.
Questo dono però, non é riservato ad un popolo particolare o ad un gruppo di privilegiati, ma é destinato al mondo intero. Dio vuole la salvezza di tutti: "Dio - dice Gesù - ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque, crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna". Ed Egli si servirà di tutte le vie, anche le più segrete e nascoste alla mente dell'uomo, per realizzare questo suo disegno di salvezza.
La fede é un dono che, pur rispettandola, impegna totalmente la libertà dell'uomo. E' una luce che gli chiede un radicale cambiamento di impostazione e di vita. Questo, da una parte, spiega la resistenza ed il rifiuto che essa può incontrare nell'uomo; dall'altra, ci fa capire l'atteggiamento di fondo che Dio chiede all'uomo: la disponibilità ad accogliere ed a lasciarsi sconvolgere dalla sua parola. Chi cerca lealmente la verità ed é disposto ad accettarne le conseguenze impegnative, arriverà senz'altro alla fede, perché Dio si manifesta a chi lo ama e si fa trovare da chi lo cerca.


Sulla base di queste premesse, la risposta al primo punto é: sì, dobbiamo ritenere che ogni persona, per quanto si dichiari non credente, è sempre amata da Dio; é sempre sotto il suo sguardo. Egli non cesserà mai di seguirla e di aiutarla a raggiungere la verità.Vedere a questo riguardo nel Vangelo le bellissime parabole dell'amore di Dio che va in cerca dell'uomo.

Quanto al secondo punto, si deve senz'altro ammettere che l'uomo può rifiutare il dono di Dio, ma é molto difficile, per non dire impossibile, verificare la cosa sul piano concreto.

A parte il fatto che ogni caso ha dietro di sé una sua storia, una sua situazione psicologica e sociale, una sua esperienza ed una sua formazione culturale, in genere si deve tener conto della grande difficoltà che la ragione umana incontra di fronte a certi problemi: In riferimento in particolare all'esistenza del male; come metterlo d'accordo con l'esistenza di Dio?

Si dovrebbe poi cercare di capire meglio il significato di certe dichiarazioni del non credente. Tante volte hanno un significato molto diverso da quello che a prima vista appare.

Ad uno sguardo attento, dietro di esse si nasconde spesso non già un rifiuto di Dio, di Cristo e della sua chiesa; di un certo stile di annuncio della fede e della morale cristiana; di un certo tipo di testimonianza - fatta di mediocrità, di incoerenza e di compromesso - che, dobbiamo ammetterlo, é molto lontana da quella voluta da Gesù nel Vangelo. Per cui viene da chiedersi se dietro a queste dichiarazioni, tante volte, più che un rifiuto di Dio, non si debba vedere un'esigenza di autenticità ed un appello rivolto a noi cristiani a riesaminare il nostro modo di annunciare e di vivere il Vangelo.

In tutti i casi, non possiamo mai giudicare la coscienza dell'altro; é un compito che spetta a Dio solo: Il nostro atteggiamento dovrebbe essere quello di rispetto e di fiducia.

Come cristiani dovremmo saper vedere in ogni prossimo - e quindi anche in quelli che, dichiarandosi non credenti, sembrano più lontani - dei candidati alla verità, tenendo presente che la verità e la vera felicità, che vengono da Dio, sono l'esigenza e l'aspirazione profonda di ogni essere umano.

Noi non possiamo mai sapere il lavoro che Dio compie nelle anime, il modo con cui Dio si può inserire nella loro vita e nel loro travaglio interiore. E poi Dio può arrivare a tutte le ore, in tutti i momenti; può arrivare anche all'ultima ora, all'ultimo momento, come ci insegna la parabola degli operai dell'ultima ora.

Significativa é anche la parabola dei due figli: quello che dice i "sì" al comando del padre, ma poi non lo esegue; e quello che gli dice di "no", ma poi lo esegue. In essa Gesù vuole riferirsi apertamente a certe persone, le quali, mentre nella società religiosa del suo tempo venivano emarginate dai fedeli osservanti e considerate lontane da Dio, erano invece tra quelli che maggiormente lo avevano capito e gli avevano detto di sì.




Gino Rocca

venerdì 19 giugno 2009

"DIVENTERAI OCEANO...."


"Chiesero a un saggio: "Parlaci della preghiera".
Il maestro rispose: "La dottrina della Preghiera é suddivisa in dieci capitoli.
Se farai attenzione, te ne dirò qualcosa:
"parlare poco" é l'argomento del primo,
"tacere" é quello degli altri nove.
Se la tua anima prenderà l'abitudine di tacere,
ogni atomo ti parlerà.
Tu mormori come un torrente,
ma solo se imparerai a tacere diventerai oceano.
E chi in questo oceano vorrà cogliere la perla
della Parola di Dio
dovrà tuffarsi e trattenere il respiro".


Farid ud-din Attar




E' necessario, per ogni anima che si mette in cammino, capire che la chiamata di Dio non é un appello a "fare cose", ma a "stare" con la persona di Gesù in una relazione intima e personale, che poi si trasforma inevitabilmente in risposta d'amore al prossimo.
E' nella preghiera che si manifesta la volontà di Dio e, dalla preghiera, scaturisce la vita che siamo invitati a donare, ciascuno nella vocazione specifica nella quale é stato chiamato.
E' vero anche, che la chiamata di Gesù propone alcune condizioni che possono in apparenza sembrare inconcepibili, ma la logica d'amore di Dio supera la pura dimensione umana: Gesù chiede condizioni esigenti, ma anche si fa portavoce di promesse che centuplicano quanto si é lasciato! Si tratta di leggere la propria storia con occhi nuovi, con lo sguardo del cuore, col desiderio profondo di vedere il presente già trasformato, purificato, reso bello dalla Sue presenza.
Il silenzio, nel tempo presente, sembra essere morto, e nessuno sembra disperarsene, avvertirne la perdita. Il silenzio anzi spaventa e lo si cancella al solo pensiero che possa avvolgerci. Si sente invece il fascino del rumore. Potremmo definire la nostra, la civiltà del rumore.
Ecco perché in un mondo sempre più tecnologicamente perfetto, l'uomo essere di relazione, si sente ogni giorno più solo. Il rumore lo svuota sempre più della capacità di entrare in se stesso e scoprire i desideri di bene, le attese profonde, anche la chiamata di Dio.
Ma c'é un silenzio interiore che coincide con un senso di svuotamento del mondo esterno che penetra dentro di noi, e che ci consente di cogliere meglio cosa c'é in noi.
Tutti almeno una volta siamo stati in montagna e abbiamo fatto l'esperienza dell'immensità del cielo e della nostra infinita piccolezza di fronte alla terra e al Suo creatore. In quei momenti infiniti sembra che tutto ci riporti al desiderio di qualcosa di grande per cui ci sentiamo di essere in fondo chiamati, ma poi ritorniamo inevitabilmente alla solita routine e questo rimane solo un bel ricordo da raccontare.
Anche Gesù, prima di ogni avvenimento importante, si ritira nel silenzio per pregare, cioè per rimettere in fila le cose e dargli il loro vero valore. Il silenzio é uno spazio essenziale, irrinunciabile. Il basamento su cui costruire ogni cosa.
Per incontrare Dio occorre uscire.
Uscire e attendere.
L'attesa ci rivela la promessa che Dio ha fatto su ciascuno di noi.
Nel cristianesimo la Parola irrompe nella storia e diventa liturgia, cioè crea un contesto sacro, adatto a penetrare le profondità dello Spirito.
Ma nel mio cuore, c'é oggi uno spazio per accoglierla?
La Parola di Dio entra nella mia storia e la ricrea, così come al principio creò il cielo e la terra. Viene ogniqualvolta mi metto nella condizione di far sgorgare un torrente dal mio cuore, perché traboccante dell'Amore di un Altro.
La preghiera rivela la promessa di Dio all'uomo, cioè la sua stessa venuta nel suo cuore fragile e distratto, la ricchezza di chi riesce a lasciare tutto per ascoltare quella Voce e con essa scandagliare l'immensità dell'oceano che essa porta con sé. L'uomo diventa ricco della Parola, l'unica Parola capace di parlare al suo cuore, l'unica parola che l'uomo ha bisogno di sentire.
Oggi questa Parola si fa carne per me e per te.
Ci chiede di fargli uno spazio nel cuore per trasformarlo in oceano, per celare nelle profondità del nostro cuore la perla preziosa, Gesù, il tesoro nascosto da cui attingere ogni volta che la fretta e il rumore saranno difficili da sopportare e ci distoglieranno dall'essenziale.
Sapremo tuffarci e trattenere il respiro?


Sr.Francesca Entisciò








giovedì 18 giugno 2009

LA CAPACITA' DI RELAZIONE


Esistono diverse capacità di relazione fondamentali per trattare gli altri e farseli amici.

La prima in assoluto é la seguente: "Se vuoi prenderti il miele non prendere a calci l'alveare", nel senso che nel relazionarsi con gli altri, il criticare non serve, così come é inutile condannare e recriminare. La critica é pericolosa perché ferisce l'orgoglio della gente e la fa sentire impotente oltreché suscitare risentimento. Skinner, psicologo famoso in tutto il mondo, provò con i suoi esperimenti che un animale ricompensato perché si comporta bene, impara molto più velocemente di uno punito perché sbaglia.

Il risentimento per le critiche ricevute può demoralizzare i familiari, gli amici, i dipendenti, senza contribuire in alcun modo a migliorare la situazione. Trattando con la gente dobbiamo ricordarci che spesso abbiamo a che fare con persone governate non dalla logica ma dalle passioni impastate da pregiudizi e mosse dall'orgoglio e dalla vanità. Tutti gli sciocchi sono capaci di condannare, criticare, recriminare; e la maggior parte lo fa. Ma ci vuole carattere e autocontrollo per capire e perdonare.

Nei nostri rapporti interpersonali non dobbiamo trascurare il "grande segreto" che é quello di essere prodighi di apprezzamenti onesti e sinceri.

Un'altra efficace capacità di relazione é imparare che il solo modo di influenzare gli altri é parlare nei termini di ciò che gli altri desiderano, nel riuscire a vedere dal punto di vista dell'altra persona.

Ma concretamente, come essere bene accolti ovunque?

Una risposta può essere quella di studiare la tecnica del più grande conquistatore di amici che il mondo abbia mai conosciuto. Il cane è l'unico animale che non lavora per vivere: la gallina deve fare l'uovo, la mucca deve produrre il latte, il canarino deve almeno cantare. Ma il cane vive dell'amore che vi dà, non ha bisogno di leggere un libro di psicologia, sa per istinto una grande lezione di vita e cioè che é possibile farsi più amici in due mesi mostrandoti interessato agli altri che non in due anni tentando di indurre gli altri ad interessarsi a te.

Eppure conosciamo bene tante persone che si comportano stupidamente per tutta la vita, cercando di attirare gli altri e indurli ad interessarsi a loro. Naturalmente non funziona.

Se vogliamo farci degli amici, entriamo nell'ordine di idee di fare qualcosa per gli altri. Cose che richiedono tempo, energie, altruismo e intenzionalità. E come per magia tutto ritorna.

Un famoso poeta romano scriveva: "Ci interessiamo degli altri solo quando essi si interessano a noi".

Un altro modo per farsi ben volere dagli altri é sfoderare un bel sorriso. E' per questo che i cani piacciono tanto: quando vedono il loro padrone pare che impazziscano dalla gioia. Se volete che la gente sia contenta di stare con voi, bisogna che anche voi dimostriate che siete contenti di trovarvi in loro compagnia.

Un altro modo di farsi ben volere dagli altri é quello di essere buoni ascoltatori e di incoraggiare gli altri a parlare di se stessi. A volte il proprio banale e personalissimo mal di denti preoccupa assai di più della carestia che in Cina miete milioni di vittime, e un foruncolo sul collo é più inquietante di cinquanta alluvioni in India. Pensateci la prossima volta che vi mettete a parlare con qualcuno, così, se volete diventare un buon conversatore, siate prima di tutto un ascoltatore attento.

Infine, come riuscire subito simpatici alla gente?

C'é una legge molto importante che regola i nostri rapporti con i nostri simili: "Date sempre agli altri l'impressione di essere importanti". E' un bisogno primario della natura umana il desiderio di sentirsi importanti e di venire apprezzati. Si ha sempre bisogno dell'approvazione di coloro con i quali si viene in contatto. Si vuole vedere riconosciuta la propria dignità. Si vuole la consapevolezza di sentirsi importanti nel nostro piccolo mondo. Niente adulazione falsa, ma approvazione sincera.

Seguiamo quindi questa legge d'oro: facciamo agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi... e facciamolo sempre e dovunque con la massima naturalezza e sincerità.




Pasquale Ionata


CHI RICOMINCIA


L'importante non é riuscire ad amare
(spesso per i nostri limiti non ci riusciamo)
ma l'importante é voler sempre amare
("Beati gli uomini di buona volontà")
L'importante é ricominciare sempre.
Ricominciare é credere nell'Amore.
Infatti, se ricominciamo, dimostriamo di credere più nella potenza e grandezza del Suo Amore che nella nostra debolezza.
Chi ricomincia
dimostra di credere che Gesù Abbandonato ha colmato ogni vuoto.
Chi ricomincia
é uno che valorizza e mette a profitto la Redenzione e l'Abbandono di Gesù,
mettendolo al suo giusto posto:
quello di Redentore e Salvatore.
Chi ricomincia
non solo é uno che Crede, é uno che Spera,
ma é uno che Ama, perché solo l'Amore va al di là di tutto.
Ed é uno che ama Dio per Dio. Dio amore per Amore.
Infatti, é uno che mette al primo posto nella sua anima non i suoi peccati,
non le sue debolezze, non i suoi limiti,
ma Dio che é lo "Spirito d'Amore",
e con questo amore crede nell'Amore di Dio, crede che Dio é Amore,
lascia che l'Amore in sé ami l'Amore fuori di sé, intorno a sé, negli altri.
Chi ricomincia
é uno povero di tutto
(perché ha perso i suoi peccati e i suoi limiti nella Misericordia di Dio)
Chi ricomincia
é uno che é puro, perché non attaccato a niente
(neanche alla sua anima: e non guarda ad essa, ma a Dio)
Chi ricomincia
é obbediente
(perché, come Gesù che si é fatto obbediente fino alla morte di croce, così lui pure si abbandona a Dio, alla misericordia di Dio, all'Amore di Dio, credendo più in Lui, all'Amore, che a se stesso e a ciò che di negativo in sé e attorno a sé vede).
Chi ricomincia
si fa uno con Gesù,
che ha voluto farsi peccato e nulla,
perché noi fossimo tutto, fossimo Lui;
Chi ricomincia
si fa uno con Gesù
fino a realizzare in sé la frase "siete dèi", perché così facendo,
si fa nulla e, facendosi nulla, Dio lo riempie di sé (come Maria)
e, perciò, diventa Lui, un altro Gesù,
tutto.

domenica 14 giugno 2009

UNO SOLO E' IL MAESTRO


"Se Gesù é il maestro, un dovere dei genitori cristiani sarà quello di guardare a Lui per imparare come educare".
"Se ameranno con la carità di Dio, la carità di chi ama per primo, senza aspettarsi nulla. E' un amore questo che non lascia mai indifferenti".
Le parole dei genitori devono sempre incoraggiare, essere cariche di speranza, positive, devono manifestare tutta la loro certezza nella ripresa dei propri figli... Gesù lascia libertà e responsabilità di decisione, come fa quando incontra il giovane ricco.
Non si devono mai imporre le proprie idee, ma offrirle con amore, come espressione d'amore...
I figli sono prima di tutto figli di Dio e non nostri.
Non vanno trattati quindi come nostro possesso, ma come persone a noi affidate.
"Chi ama suo figlio é pronto a correggerlo", é scritto nel libro Sacro dei Proverbi, guai se non si corregge! L'ammonimento dato con pace, con calma, con distacco, pesa sulla responsabilità dei figli che se ne ricorderanno. Bastano poche parole suggerite da un amore vero, puro, disinteressato. E poi... la misericordia del padre e della madre in una famiglia deve arrivare a saper veramente dimenticare, al "tutto copre" della carità di Dio.
Dio si fa sentire nel cuore dei nostri figli. Ed essi reagiscono positivamente solo alla verità, quando questa viene loro presentata con un linguaggio ad essi accessibile e ad essi accettabile, perché espresso da genitori che, prima di insegnare, hanno fatto lo sforzo di capire e condividere.
E' importante mettere i nostri figli fra le Sue braccia, sicuri che lui colmerà i vuoti che abbiamo lasciato nel nostro cammino e giungerà dove noi non abbiamo saputo e potuto arrivare.




TIENI LA PORTA APERTA



"Come mantenere la pace e allo stesso tempo
restare aperti al dialogo
con i figli, nonostante un comportamento
e perfino un modo di esprimersi
che spesso ci ferisce?"




Le famiglie sono immerse nel mondo e si trovano spesso, nel rapporto con le nuove generazioni, di fronte ai problemi tipici della società: mancanza di valori, disorientamento, consumismo...E i genitori soffrono.
Vorrei premettere che io vedo queste situazioni come aspetti del dolore infinito che Gesù ha vissuto quando si é sentito abbandonato dal Padre.Un figlio "ateo" é come lui che si é sentito "senza Dio".Un figlio disorientato é come lui che, in quel grido, appare senza più orientamento. Un figlio che Ha perso il senso dei valori é simile a lui che credette vanificato tutto ciò che aveva fatto e detto...Quindi io direi a queste famiglie di non scoraggiarsi mai!, ma di vivere tali situazione in questa dimensione spirituale e non perdere la pace.
A volte croci di questo genere durano a lungo?
"Prendi ogni giorno la tua croce..."ci dice il Vangelo. Ne avremo sempre una con noi. Come é stato per lui.
Soprattutto quando i figli sono adolescenti o nella prima giovinezza, é quasi inevitabile che attraversino momenti difficili. Come mantenere la pace e allo stesso tempo restare aperti al dialogo con loro, nonostante un comportamento e perfino un modo di esprimersi che spesso ci ferisce?
Ricordo una mamma che un giorno mi ha fatto una domanda del genere. Aveva una figlia che rincasava tardi la sera ed io, pensavo a quanti ragazzi oggi passano notti in locali dove é normale consumare alcool e droghe, le ho detto: "Tieni sempre la porta di casa aperta! Finché torna, ringrazia Dio..." Era tanto agitata e questo le ha dato un po' di pace. Ho poi saputo che ha fatto proprio così, ha tenuto la porta aperta e la figliola adesso dà meno pensieri. Prima non aveva un buon rapporto con la mamma, poi ha sentito che in lei c'era sempre accoglienza e ha trovato una normalità.
Bisogna guardare alle situazioni senza pregiudizi e paure, anche tenendo conto di come vanno le cose nel mondo. Gesù ha detto: "Chi non lascia padre, madre, moglie e figli...".
Quindi occorre un distacco completo; bisogna guardare ai figli non come a una proprietà ma come a dei prossimi da amare. E' logico che il cuore di una madre, di un padre, avrà i suoi palpiti speciali, ma a un dato punto occorre il distacco, altrimenti non si vive il Vangelo.
Occorre prima essere spiritualmente distaccati e poi, con cuore nuovo, far tutto quel che dovrebbe fare un genitore, consigliandoli, seguendoli...Ma senza quella premessa, non si combina niente in famiglia, perché siamo turbati continuamente dalle preoccupazioni e non riusciamo ad amarci come dovremmo amarci.
E poi momento per momento, in ogni dolore che capita, magari causato dai figli, andare al di là della prova.
Perché solo così si é liberi e capaci di ascoltare lo Spirito Santo che dà il dono del consiglio, col quale possiamo aiutare coloro che ci sono affidati.

Chiara Lubich
"Dove la vita si accende"

LA STRADA DEI FIGLI


"I genitori cristiani
non devono amare i propri figli
egoisticamente
e programmare per loro
un avvenire conforme
ai propri desideri
e non al volere di Dio"



Quando i figli si allontanano da quella che i genitori ritengono che sia la retta via, sorge spesso in loro un dubbio angoscioso: che fare?
Mi sembra di poter suggerire questo: pazientare infinitamente.
Guardando la società attuale, tante volte mi vien da dire: ringraziamo se tornano ancora qualche volta a casa. La situazione oggi é così.
Certo, bisogna anche ammonire, e a volte può essere molto difficile, faticoso; ma correggere é un dovere dei genitori, da fare con semplicità: come tutte le mattine ci si lava, così bisogna fare ogni tanto un ammonimento.
Ma con distacco; dicendo ad esempio: "Guarda, ti suggerirei così, ma poi decidi tu".
La condotta dei figli, anche ribelli ed egoisti, non deve mai bloccare l'amore. Fino a che punto i genitori devono pazientare coi figli? Non c'é limite. Nessuna ribellione, nessun avvenimento, per quanto grave, può bloccare la carità: niente può spegnerla. Vorrei addirittura dire che se c?é qualche cosa che, umanamente parlando, potrebbe farla spegnere, é invece ciò che dovrebbe accenderla.
Gesù dice: "A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra" e "Va per due miglia per chi ti tira per uno".
Allora, fino a che punto? Fino a morire per loro, perché "nessuno ha maggiore carità di colui che pone la vita per gli amici suoi". E' la legge del Vangelo, la legge nostra: "Amatevi, come io vi ho amato", fino alla morte. Non c'é limite all'amore.
Può capitare a un giovane di sentire che, ad un certo punto della vita, Dio lo chiama a seguirlo. E' la vocazione, una realtà che penso doni forse la gioia più grande che un giovane possa provare; viene da comunicarla a tutti, soprattutto alle persone più care...Eppure a volte succede che proprio i parenti (che magari vanno regolarmente a Messa la domenica e si considerano buoni cristiani) accolgono l'evento quasi come una disgrazia.
Per essere cristiani come Gesù vuole, non basta andare a Messa ogni domenica. Occorre dell'altro. Anzitutto impostare la vita su Dio, metterlo al primo posto nella propria esistenza; accettare la sua volontà, accogliere con gioia ciò che Egli desidera o manifesta, come, appunto, la donazione di un figlio al suo servizio.
I genitori cristiani non devono amare i propri figli egoisticamente e programmare per loro un avvenire conforma ai propri desideri e non al volere di Dio.
I genitori cristiani, se non fanno così, vedranno realizzarsi nella loro famiglia quanto Gesù dice: "Credete che io sia venuto a mettere la pace sulla terra? No, io vi dico, ma la divisione. Perché d'ora in poi, cinque persone in una casa saranno divise, tre contro due e due contro tre..."
Se invece i genitori educheranno i loro figli, sapendo che essi sono prima di tutto figli di Dio, e quindi a sua disposizione, essi saranno capaci di aiutarli e consigliarli, anche quando sentono in cuore la sua chiamata.
I genitori, se sono veri cristiani, questo lo sanno e lo fanno.
Chiara Lubich


"Dove la vita si accende"

giovedì 11 giugno 2009

CHE COS'E' PREGARE


Il pregare non consiste propriamente, nel fatto di dedicare qualche tempo, durante il giorno, alla meditazione o nel leggere qualche brano della Sacra Scrittura o di testi di santi, e nel cercare di pensare a Dio o a sé stessi per una nostra riforma interiore. Questo non é il pregare nella sa essenza. Così pure la recita del rosario o delle preghiere del mattino e della sera. Una persona può fare queste cose durante tutto il giorno e non aver mai pregato un minuto.
Il pregare per essere veramente tale, esige innanzi tutto un rapporto con Gesù: andare con lo spirito al di là della nostra condizione umana, delle nostre occupazioni, delle nostre preghiere, pur belle e necessarie, e stabilire questo rapporto intimo, personale con Lui.
E' necessario che facciamo la scoperta straordinaria che Gesù ci ama e ci chiama. che cosa é in fondo la "vocazione"? E' stata chiaramente descritta nella forma più bella nell'incontro di Gesù col giovane ricco. Dice il Vangelo di Marco : "Gesù, guardandolo, lo amò e gli disse: lascia tutto quel che hai, poi vieni e seguimi". Gesù ha questo sguardo per ciascuno di noi e ci ama, e noi sentiamo questo suo amore e possiamo decidere di seguirlo. La vita di preghiera, nella sua essenza, consiste nel mantenere questo rapporto filiale e fraterno con Gesù tutto il giorno, tutti i giorni. La preghiera é un rapportarsi con Lui e un silenzioso ascoltare quello che ci dice.
Questo rapporto tra noi e Gesù si instaura se riusciamo a compiere "la scelta di Dio", che consiste nel mettere lui al primo posto di tutta la nostra esistenza, in tutte le nostre azioni. Allora le preghiere possono diventare "preghiera".
I modi possono essere tanti. Un tipo di "preghiera mentale" é la meditazione, che si fa seguendo vari metodi.
Uno dei più semplici é la lettura lenta e meditata della sacra Scrittura o di scritti di santi. Ma al di là del metodo con cui si é fatta, la meditazione deve essere un'occasione per trovare un momento di quiete, di tranquillità con Gesù. Può darsi che durante questo momento ci vengano alla mente delle preoccupazioni. Allora ne parliamo con Gesù, dicendogli. "Pensaci tu, io non posso far niente, posso solo parlarne con te". E questa potremmo chiamarla "preghiera di domanda".
Ma nella sua sostanza, anche quando é "di domanda", la preghiera é sempre di abbandono: anche quando chiediamo qualcosa, ci abbandoniamo a quello che Gesù vuole; se ci sono delle esperienze dolorose nella nostra vita, o in quella delle persone care, ne parliamo a Lui con tranquillità, perché sappiamo che ci ama e ama tutte le persone molto di più di quanto possiamo fare.
Certo, la preghiera più bella é quella di chi sa che Gesù conosce i nostri problemi, le nostre difficoltà, le cose di cui abbiamo bisogno (dice il Vangelo: "Il padre sa già ciò di cui avete bisogno" Mt 6,8) e si abbandona appunto a parlare a Gesù in uno stato di donazione, di totale donazione di sé, di gioia dell'incontro che si può avere con Lui alla Santissima Trinità:
ecco, Tu sai tutte le difficoltà che ho, tu sai le mie miserie, la mia poca fede, tu conosci le mie mancanze, i dolori e le difficoltà che incontro nella vita: adesso voglio stare con Te e contemplarti.
E' il momento nel quale si esce da tutta una realtà contingente che ci affatica e ci addolora, per essere a contatto con lui, per trovare Lui, per vivere nella nostra casa.
La casa di ciascuno di noi infatti é la Trinità, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, e in loro Maria e tutti i santi. E noi che viviamo immersi in un mondo che ci sembra reale, ma é invece apparente, finalmente ritorniamo a casa, nel nostro vero mondo, il mondo della Trinità.
La preghiera é il momento più bello della nostra vita terrena poiché viviamo in quel momento insieme col Padre, col Figlio, con lo Spirito santo, con Maria, in maniera cosciente.
Questa contemplazione non vuol dire evasione dalla vita concreta; ma é la vera vita, per la quale possiamo affrontare cristianamente la realtà concreta di tutti i giorni, con i suoi scacchi, le sue tribolazioni, la stanchezza fisica e nervosa, con tutti i problemi, che posso e so affrontare proprio perché ho vissuto finalmente per un po' di tempo, per mezz'ora, nella meditazione, la mia vita vera: questo colloquio con Gesù.
In questo incontro egli mi parla; e spesso é difficile saperlo ascoltare, perché siamo trasformati dal rumore delle cose di ogni giorno che tentano di insinuarsi anche in questo spazio di tempo dedicato alla contemplazione.
Ma dobbiamo abituarci ad ascoltarlo, perché Lui ci parla sempre.
Non si tratta di realizzare un silenzio esteriore quanto di avere il silenzio interiore, cioè il dominio (relativo sempre alla nostra condizione umana) di tutte le nostre passioni (nel senso non solo negativo del termine), di tutte le nostre agitazioni, di tutti i tumulti psicologici interni: é un essere andati al di là di tutto questo per ascoltare Gesù che ci parla.
La sua voce é sottilissima.
Occorre veramente un silenzio interiore per coglierla (e la meditazione ci offre l'occasione per un silenzio esteriore, che é simbolo di quello interiore necessario per ascoltare Gesù).
Egli ci dice sempre cose fondamentali.
Ci dice, quando siamo affannato, turbati dai vari problemi della vita: "Non temete, sono io"
Ci dice: "Non temete, io ho vinto il mondo".
Ci dice: "Io sono con voi":
Gesù, presenta sé stesso come modello, la sua vita come modello per la nostra. Una vita fatta anche di successi umani, di miracoli, ma conclusa con un apparente fallimento totale, sulla croce.
E quando noi gli diciamo: "Gesù, mi é andata male questa cosa, mi sta andando male quest'altra", Egli ci risponde: "Io ho gridato: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Questa é la meta che ti presento. Al resto ci penserò io; non é importante il successo o l'insuccesso, l'importante per te é mantenerti in questo rapporto con me".
Questi sono solo alcuni esempi di quello che il Signore ci dice per portarci al di là della quotidianità della nostra esistenza, per farci vivere nel mondo eterno. E talvolta fa anche miracoli, in questo colloquio che possiamo avere con Lui.
Chi non ricorda, a questo proposito, l'episodio della donna che perdeva sangue ed era in mezzo ad una folla che non le permetteva di raggiungere Gesù per chiedergli di guarirla? Questa donna pensava: "Se io potessi almeno toccare la stoffa della sua veste, sarei guarita". Si fa dunque avanti e riesce a toccarla con fede, con amore, e viene guarita. E Gesù sente una forza che da lui é uscita e dice agli apostoli: "Chi mi ha toccato?". Gli apostoli gli rispondono: "Signore, siamo in mezzo ad una calca di gente e tu domandi chi ti ha toccato?" Tanti lo avevano "pregato", ma una sola aveva trovato il modo di parlargli, aveva trovato la "preghiera", e Gesù aveva sentito che una forza si era sprigionata da lui per quella preghiera umile, silenziosa, piena di fede e di abbandono.

La preghiera ci trasforma.


Se preghiamo con questa fede, gli altri ci troveranno sereni, perché abbiamo una pace che va al di là delle sofferenze, che pur patiamo come tutte le persone di questo mondo. E sentono la gioia di stare con noi, quella gioia che gesù dice che il mondo non sa dare, perché portiamo nel nostro cuore un pezzettino di quel Cielo nel quale abbiamo vissuto durante il tempo della preghiera.


Tutto il mondo é assetato di Dio e se noi non riusciamo a dissetarlo é perché gli diamo soltanto parole nostre, che "parlano" di Dio. Invece il mondo ha bisogno di dio, anche senza le nostre parole e anche senza che si parli di lui. Riusciamo a ciò se nell'ascolto della chiamata di Gesù rimaniamo in un continuo colloquio con lui.


A volte oggi c'é una svalutazione della preghiera vocale, perché si ritiene che quella intellettuale sia più importante. Invece quel che importa é il rapporto con Dio, che posso trovare e nella preghiera mentale e in quella vocale, nelle giaculatorie, nel rosario, in tutte le forme di pietà più popolari e semplici, troppo semplici per la nostra superbia, ma tutte occasioni, in realtà, per avere un rapporto con Dio. Un rapporto che, naturalmente, non nasce nella preghiera se non nasce nella vita. Cioé non si può "pregare" se non si ha una vita impostata completamente su Dio.


Se abbiamo questo rapporto autentico con Gesù, la preghiera diventa la cosa più bella e più viva della giornata. Diventa per noi una fonte di acqua viva, come dice Gesù: "Chi crede in me, nasceranno da lui torrenti di acqua viva".


Il nostro atteggiamento deve essere di pace radicale e totale: dobbiamo riuscire ad avere quella pienezza umana che solo Dio ci può dare, e che irradia la pace e la serenità intorno a noi. La preghiera é parlare con gesù, ma deve essere un parlare non fatto di parole, come egli dice: "Quando pregate dite poche parole" (Mt 6,7)


E' un rapporto di amore profondo, di domanda profonda, di abbandono profondo al Padre, tramite il Figlio, nello Spirito Santo con l'aiuto di Maria che - come alle nozze di Cana - si esprime con noi quando noi non sappiamo farlo. Questa é la nostra vera vita.
Noi siamo stati chiamati a vivere nel seno del Padre. La nostra vera chiamata é seguire Gesù e vivere in questa famiglia divina. La preghiera non é altro che il parlare in casa, nella nostra vera casa.
Questa vuole essere e deve diventare la nostra preghiera. E lo diventa sicuramente se nella nostra vita viviamo totalmente per Dio.




Pasquale Foresi














LE VARIE FORME DI PREGHIERA


Preghiera di offerta.

La vive che, prostrato da sofferenze fisiche o spirituali, incapace di tutto, perfino di parlare, offre a Dio, anche se nello spazio di un solo istante, tutta la sua esistenza.

Per questo tale forma di preghiera può considerarsi forse la più profonda, perché innesta l'anima in quel punto ove il contatto con Dio si fa immediato e diretto.

Ma anche il lavoro può assumere la forma di una preghiera di offerta. penso in particolare a coloro che duranteil giorno sono sopraffatti dalla fatica fisica, tanto da essere quasi impossibilitati a raccogliere le forze necessarie per dedicarsi a pregare. Ebbene, anch'essi, se al mattino con una semplice intenzione offriranno a Dio la loro giornata, avvertiranno di vivere in continua relazione con lui e alla sera, nel silenzio di un pur breve raccoglimento, troveranno l'unione con lui. E' questo in fondo, ciò cui l'umanità di oggi si mostra particolarmente sensibile, che cioé tutto l'universo e quanto in esso si compie si possa trasformare in una grande preghiera che incessantemente si leva a Dio. Rimane sempre decisivo e fondamentale l'ammonimento di Gesù. "Non chiunque dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che é nei cieli", a sottolineare che ciò che ale é il rapporto autentico con Dio e non il moltiplicarsi di formule puramente esteriori.

Preghiera liturgica.

Rimane la preghiera per eccellenza, poiché in essa è la Chiesa che prega. E' preghiera comunitaria, ove ognuno entra in rapporto con Dio insieme ai fratelli. E' un incontro che Lui stesso suggella con la sua presenza, culminante nell'Eucaristia, sì da farci uno fra noi:

Meditazione.

Essa é come un itinerario che da a colui che la pratica regolarmente, con l'ausilio di scritti spirituali, di entrare in colloquio intimo con Gesù, di avvertirne in fondo all'anima la presenza viva: presenza di Dio che ci riempie di sé, bruciando le nostre miserie, indicandoci la via da seguire, infondendoci la pace.

E' il contatto con lui che rinfranca e che sana, così come un giorno ha sanato la donna inferma di cui narra il Vangelo, la quale era convinta che, se solo avesse toccato le sue vesti, sarebbe guarita (Mc 5,25-34). Egli infatti ama davvero le anime che si mettono così di fronte a Lui, anche se sono sotto il peso dei peccati più gravi.

Preghiera di domanda.

Dio la attende da noi per darci la gioia di cooperare con lui alla salvezza del mondo. Dio, nel suo stupefaciente amore, ha voluto legare tante grazie da effondere sul mondo alla nostra intercessione.

Preghiera vocale.

E' una preghiera che la Chiesa tanto accomanda per farci immergere con tutto il nostro essere in quella intimità spirituale con Dio, che é già sulla terra in preludio del cielo.

Essa trova forse la sua forma più bella nel rosario alla Vergine Maria con il quale - cme splendidamente afferma Giovanni Paolo II - si dà voce a "quell'amore che non si stanca di tornare alla persona amata con effusioni che, pur simili nella manifestazione, sono sempre nuove per il sentimento che le pervade".

C'é poi una preghiera che nasce quando un rapporto di vero amore cristiano lega uomo a uomo, fratello a fratello. E' allora che gesù, come attirato da quel vicendevole amore, misteriosamente ma realmente si fa presente fra loro (Mt 18,20). Ogni diaframma sembra cadere e il rapporto con Lui farsi, in certo modo, tangibile. Si comprende allora perché questa presenzadi Gesù raggiunge l'essenza della preghiera, implicita ma sostanziale.

Nella famiglia di Nazareth, con Gesù, Maria e Giuseppe, questa preghiera ha raggiunto il suo culmine. A noi avvicinarsi sempre di più a quel modello, anche se esso resterà irrangiungibile.



Pasquale Foresi