NON TIRARSI INDIETRO
"Di fronte alle sofferenze del mondo
tu puoi tirarti indietro, sì,
questo é qualcosa che sei libero di fare e che si accorda con la tua natura;
ma precisamente questo tirarsi indietro
é l'unica sofferenza che forse potresti evitare". (Kafka)
Quando nasce una situazione spiacevole oppure una sensazione non bella, può essere dolore fisico, sofferenza mentale, incertezza generale sul futuro, e così via. Queste sono condizioni potenziali della sofferenza ma, di per sé, non sono la sofferenza stessa. Il modo in cui reagiamo ad esse determina quanto soffriamo.
Un bambino e un adulto si fanno entrambi male al dito del piede. Tutti e due provano dolore. L'adulto ha una visione del mondo in cui tale sensazione é riconosciuta e assimilata: é una stupidaggine, passerà. Dato che non c'é una resistenza reattiva incontrollata, l'adulto non ha bisogno di intraprendere una qualche azione per alleviare la sofferenza.
Per il bambino l'esperienza é molto diversa. Mancandogli un contesto che preveda alluci schiacciati, il bambino si identifica col dolore spiacevole e prova avversione per esso. Il bambino mette se stesso fortemente in conflitto con la realtà. Questa resistenza alla situazione spiacevole é l'origine della sofferenza. Le lacrime continuano dopo che il dolore é passato; come reazione, il bambino corre dai genitori per farsi consolare.
Un altro esempio: due donne sono in travaglio di parto. Entrambe gridano come risposta naturale al dolore. Per una di loro rappresenta l'annuncio del figlio tanto atteso e fa parte dell'incredibile mistero della vita. Il dolore la risparmia e la riempie non di sofferenza ma di estasi. Non si é mai sentita tanto viva, tanto profondamente in armonia con la propria natura. Rifiuta un analgesico premurosamente offerto dall'ostetrica. Per l'altra donna il dolore del parto é quello che ha temuto sin dall'inizio della gravidanza. Quando arriva, é incapace di tenerlo a bada; esso diventa una fonte di sofferenza, che non fa parte di un'esperienza di gioia globale. Accetta senza esitare l'analgesico.
Quasi tutti, condizionati dalla mentalità corrente, non facciamo che evitare il dolore e continuare a soffrire inutilmente, a soffrire in maniera sterile. Quando affrontiamo il dolore, possono emergere i sentimenti dolorosi che cercavamo di evitare, solo che adesso si tratta di soffrire in maniera fertile. A questo punto ci troviamo a dover fare una scelta: cogliere l'opportunità di riconoscere la propria sofferenza, attraversare i vissuti dolorosi, comprenderne il significato ed integrarli nella propria personalità, oppure ripiegare sull'unica tragica alternativa, quella dell'evitamento, che é già costata troppo.
Esiste una legge psicologica che dice che "se si ha paura di soffrire, si finisce col soffrire di paura". Infatti quando proviamo un dolore intenso, fisico o psicologico, questo domina la nostra attenzione. Diventa difficile trattenere il ricordo di quando la sofferenza non c'era e immaginare di poter sperimentare di nuovo sensazioni e vissuti positivi. E' come se il dolore cancellasse il passato e il futuro e la sua capacità di dominare la nostra attenzione non ci facesse accorgere che viene a ondate.
Anche i sentimenti dolorosi seguono lo stesso andamento. Possono essere talmente intensi che tutto quello che si desidera é di evitarli.
Nella nostra società, il dolore, come tutte le esperienze umane, è amplificato dai fantasmi psichici e culturali e dalla paura del futuro, del tipo: "Quanto sarà forte? Quanto durerà? Sopravvivrò?" Quanto più il dolore viene sperimentato e superato, quanto più la paura si attenua,tanto più, a livello profondo, ci si rinforza attraverso il superamento dell'esperienza. Solo il dolore senza speranza, senza futuro, annienta invece di rinforzare.
Solo accettando il dolore possiamo verificare che l'onda fa il suo corso, alternandosi ad intervalli meno intensi che permettono di recuperare energie, coraggio e di ricordare a se stessi che passerà. E' d'aiuto in questi momenti usare affermazioni positive come: "Passerà", "quello che sento non é quello che sono", piuttosto che concentrarsi su pensieri negativi come: "Durerà per sempre", o "non lo sopporto", o "mi ha distrutto". Dialogare con il proprio dolore permette di conoscerlo meglio e aiuta a lenirlo. Questo significa dar voce alle proprie sensazioni, al dolore, ai sintomi: "Se le tue lacrime potessero parlare che cosa direbbero?"
Ma in sintesi quello che conta é non tanto soffrire bensì saper soffrire, e saper soffrire significa appunto: lasciarsi andare al dolore così com'é, senza barriere, senza riserve, senza interpretazioni. Allora paradossalmente il dolore cambia, perché non c'é più il dolore della lotta, della resistenza, del tormento e della ribellione. Insomma la regola d'oro é accettare il dolore; e quando il dolore a volte é misterioso o sembra assurdo, come se non ci fosse nulla da capire, allora si tratta di accettare la nostra difficoltà di accettarlo. Ma ricordiamo che il dolore comunque rende onesti e svela senza pietà le pieghe più nascoste del nostro intimo.
Questa onestà é anche la base della simpatia e dell'affetto che si provano nei confronti di chi é sofferente: L'onestà rende il sofferente simpatico perché nel dolore l'uomo diventa autentico. E la parola d'ordine per raggiungere quest'onestà é "guardare" e non distogliere lo sguardo dal dolore, perché quando noi vediamo la sofferenza esattamente per quello che é, più facilmente risulta superabile.
La psicologia arriva a dire che dove c'é il dolore, lì c'é la salvezza; Basta trasformarlo in amore.
Pasquale Ionata
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